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27/04/2016 - Ridenominati i codici tributo per la rivalutazione dei beni d'impresa: Risoluzione

Ridenominati i codici tributo per la rivalutazione dei beni d'impresa: Risoluzione

Con Risoluzione 26 aprile 2016, n. 30, l'Agenzia delle Entrate ha provveduto a ridenominare i codici tributo "1811" e "1813" per il versamento, tramite Mod. F24, delle imposte sostitutive dovute per la rivalutazione dei beni d'impresa e delle partecipazioni e per l'affrancamento del saldo di rivalutazione. Tale possibilità è stata reintrodotta dall'art. 1, commi da 889 a 897, Legge 28 dicembre 2015, n. 208.
In particolare, i codici tributo sopracitati, istituiti rispettivamente con le Risoluzioni n. 33/2006 e n. 60/2014, sono stati così ridenominati:
  • "1811" denominato "Imposta sostitutiva sulla rivalutazione dei beni d'impresa e delle partecipazioni - art.1, c. 892, legge n. 208/2015";
  • "1813" denominato "Imposta sostitutiva relativa al saldo attivo di rivalutazione di cui all'art. 1, c. 891, legge n. 208/2015".

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Beni culturali anche per l'assolvimento delle imposte di successione, Risoluzione

Con Risoluzione 21 aprile 2016, n. 28, l'Agenzia delle Entrate ha rinominato il codice tributo "6836".
In particolare, il documento di prassi precisa che, al fine di uniformare le modalità di versamento, tramite modello F24, delle imposte previste dall'art. 28 bis, D.P.R. n. 602/1973 e dall'art. 39, D.Lgs. n. 346/1990, mediante l'utilizzo in compensazione del credito derivante dalla cessione di beni culturali e di opere, il codice tributo 6836 è cosi ridenominato "Credito per il pagamento di imposte mediante cessione di beni culturali e opere - art. 28 bis del D.P.R. n. 602/1973 e art. 39 del D.Lgs n. 346/1990".


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Licenziamento illegittimo se la motivazione è la mera invalidità del lavoratore

In materia di licenziamento, la Corte di Cassazione, con la Sentenza n. 8248 del 26 aprile 2016, ha dichiarato illegittimo il licenziamento intimato al lavoratore dopo l'accertamento dell'invalidità dello stesso, se non si riscontrano altre motivazioni a sostegno dell'atto deciso dal datore di lavoro.
Nel caso in specie, un lavoratore dichiarato non vedente viene licenziato dal datore di lavoro per inabilità alle mansioni: la mancata indicazione dei compiti che lo stesso non può più svolgere a causa dell'invalidità, però, rende illegittimo il licenziamento, tanto più che il lavoratore ha svolto normalmente la sua mansione fino all'ultimo giorno di lavoro, anche dopo l'accertamento dell'invalidità.


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Cassazione: nullo il licenziamento del dirigente se la contestazione è generica

Con la Sentenza n. 8246 del 26 aprile 2016 la Cassazione afferma la nullità del licenziamento del dirigente, quando la contestazione degli addebiti non è ben motivata e circostanziata.
Nello specifico, la Suprema Corte ritiene che le garanzie nel procedimento di cui all'art. 7 della Legge n. 300/1970 trovano applicazione, nel caso di licenziamento di un dirigente, anche a prescindere dalla sua collocazione nell'impresa, e sia in presenza di comportamento negligente che di un comportamento tale da recidere il vincolo fiduciario.


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Niente licenziamento per mancata tempestività della contestazione

Secondo la Corte di Cassazione va annullata con rinvio la sentenza di merito che ritiene legittimo il licenziamento disciplinare nei confronti del rappresentante che non si è recato dal cliente, in quanto l'ulteriore addebito costituisce l'ultima frazione di un'unica condotta integrante il medesimo inadempimento, dopo l'annullamento della precedente sanzione.
Con la Sentenza n. 8235 del 26 aprile 2016 viene precisato che la contestazione dell'episodio risulta tardiva e surrettizia, vista l'inidoneità della prima iniziativa disciplinare a determinare l'estinzione del rapporto lavorativo.


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Detenzione sostituibile con pena pecuniaria per l'omesso versamento contributivo oltre i 10.000 euro

Con la Sentenza n. 17103 del 26 aprile 2016 la Corte di Cassazione è intervenuta in merito alla mutuabilità della pena detentiva breve in quella pecuniaria, in caso di omissione contributiva per importi oltre i 10.000 euro.
In particolare la Suprema Corte ha stabilito che la pena detentiva breve può sempre essere sostituita da quella pecuniaria a discrezione del giudice, che può valutare la solvibilità del condannato anche quando questi versi in situazione economica disagiata.