Irap in presenza di un collaboratore familiare, SentenzaCon Ordinanza 17 giugno 2016, n. 12616, la Corte di Cassazione ha affermato che la presenza di un collaboratore familiare e l'esistenza di un'impresa familiare sono sufficienti per assoggettare l'attività imprenditoriale ad IRAP (anche in presenza di beni strumentali di valore esiguo).In particolare, la Corte osserva che secondo la giurisprudenza deve ritenersi soggetto all'IRAP l'imprenditore commerciale titolare di un'impresa familiare "afferendo l'IRAP non al reddito o al patrimonio in sé, ma allo svolgimento di un'attività autonomamente organizzata per la produzione di beni e servizi ed integrando la collaborazione dei partecipanti quel quid pluris dotato di attitudine a produrre una ricchezza ulteriore, o valore aggiunto, rispetto a quella conseguibile con il solo apporto lavorativo personale del titolare". I giudici affermano quindi che la presenza di un familiare è da ritenersi dato sintomatico di un'attività auto nomamente organizzata cui consegue l'assoggettamento all'IRAP. |
L'assenza del progetto rende il rapporto di natura subordinataIn tema di qualificazione dei rapporti di lavoro, la Corte di Cassazione ha ribadito per l'ennesima volta che l'assenza di un progetto specifico nella collaborazione instaurata tra un'azienda e un lavoratore comporta la riconduzione dello stesso ad un rapporto di natura subordinata, nonostante la prevalenza del lavoro personale del lavoratore rispetto all'utilizzo di strutture materiali del datore di lavoro / committente.Conseguenza della riqualificazione, la necessità di rispettare le norme in materia di licenziamento previste per i lavoratori dipendenti: così, nella Sentenza n. 13786 del 6 luglio 2016, i giudici della Corte Suprema hanno dichiarato illegittimo il licenziamento operato dall'azienda, in quanto riconoscendo la natura subordinata del rapporto, il recesso operato dall'azienda mancava di giusta causa o giustificato motivo. |
Non licenziato per l'assenza ingiustificata dal lavoro se il CCNL prevede sanzioni conservativeSecondo la Corte di Cassazione il provvedimento espulsivo nei confronti del lavoratore non è legittimo e va applicata la sanzione conservativa, nel caso in cui il CCNL di riferimento preveda il recesso soltanto nel caso di prolungata assenza non comunicata al datore.La Suprema Corte, con la Sentenza n. 13787 del 6 luglio 2016, ha respinto il ricorso del datore, poiché in tema di licenziamenti disciplinari, va escluso che, dove un determinato comportamento del lavoratore, invocato come giusta causa di licenziamento, sia contemplato dal contratto collettivo come integrante una specifica infrazione disciplinare cui è correlata una sanzione conservativa, esso possa essere valutato autonomamente ed in maniera più grave da parte del giudice, salva l'ipotesi che non si accerti che le parti avevano inteso escludere, per i casi di maggiore gravità, la possibilità della sanzione espulsiva. |