di Federico Barbierato*
Al Premio del Libraio Ascom, svoltosi nei giorni scorsi al Bo’, il professor Umberto Veronesi (premio alla carriera) parlando della sua scelta vegetariana ci confidava, prima della premiazione, che “oggi abbiamo sufficienti dati per confermare che ridurre il consumo di carne nel mondo occidentale può contribuire a ridurre la scarsità di cibo e di acqua nei Paesi più poveri. Perché in realtà i prodotti agricoli sarebbero sufficienti a sfamare tutti se non fossero in gran parte utilizzati per alimentare gli animali da allevamento, perché i terreni destinati al pascolo potrebbero essere coltivati e dare più alimenti e perché, per produrre un chilo di carne, occorrono 20.000 litri d’acqua.”
Da inguaribile consumatore di carne non posso però esimermi dal trarre alcune considerazioni circa il metodo scientifico che lo stesso, con disarmante semplicità, ci ha posto.
Da questo spunto, portando la discussione sull’annosa questione dell’oculato (sin qui poco) sviluppo del territorio, si potrebbero trarre alcune buone pratiche per affrontare linearmente e non falsamente il tema dello sviluppo urbano attraverso dati scientifici in grado di portarci alla realtà vera delle cose e non ad una verità ad uso dei distruttori del territorio, che propugnano un concetto poco attuale di progresso economico non supportato dall’evidenza della crisi economica che stiamo affrontando e che non porterà certo ad un aumento costante dei consumi.
E’ notizia di questi giorni che il Veneto, per la prima volta dal ’70, registra un calo di abitanti. Non solo: a questo dato si aggiunge quello del progressivo invecchiamento della popolazione, fenomeno che, come ben dice il sociologo Vittorio Filippi, rappresenta un organismo fragile tanto quanto il nostro territorio, nel quale, ad ogni pioggia battente, corrisponde un’alluvione con relativo corollario di disgrazie che, a detta poi di tutti, “si potevano evitare”.
Ma come si possono scansare questi disastri se non vi è una chiara lettura della realtà fotografata impietosamente da questi dati e dall’incidenza delle grandi strutture di vendita (che ricordo, corrispondono a migliaia e migliaia di metri cubi di costruzioni) e che in Veneto ha raggiunto un record poco invidiabile, ma sul quale sembra ancora vi sia qualcuno che pensa di poter ulteriormente sacrificare altro spazio vitale in nome di - non so come meglio definirlo - “sviluppo” che consentirebbe l’assunzione di molti lavoratori dimenticando quanti, nel frattempo, ne rimarrebbero a casa per la contemporanea chiusura dei negozi di vicinato?
Spesso qualcuno ama definire “di retroguardia” le nostre battaglie a difesa e valorizzazione dell’esistente apostrofandoci come “conservatori nemici del progresso” e dimenticando, credo volutamente, che l’invecchiamento della popolazione richiede anche un servizio di prossimità in grado di essere di servizio e di supporto alle persone sempre più avanti con gli anni.
Ai critici, che purtroppo non sono pochi, rispondo che forse sarebbe meglio occuparsi concretamente dello “sviluppo consapevole “ della nostra economia territoriale valorizzando quanto sinora è stato fatto e costruito, recuperando l’esistente e lasciando da parte qualche piccolo interresse di bottega che costituisce, quasi sempre, l’unico concetto di sviluppo presente in certi interlocutori che scambiano gli interessi propri con l’interesse generale.
*Direttore Generale Ascom Confcommercio Padova
28 ottobre 2011