CAVALLI E POLPETTE: SERVONO LE ETICHETTE MA ANCORA DI PIU’ SERVE VALORIZZARE IL COMMERCIO CHE CI METTE LA FACCIA
“Oh, oh, cavallo oh, oh!” cantava Roberto Vecchioni ma di sicuro, nemmeno lui, avrebbe potuto prevedere che quell’espressione di sorpresa sarebbe diventata il leit-motiv dei consumatori italiani in questo marzo del 2013.
Praticamente scomparsi gli ippodromi, dimenticati i fasti di Varenne, i cavalli sono tornati prepotentemente alla ribalta non per colpa loro ma, come sempre accade, per colpa degli uomini. Nello specifico per colpa di chi, immettendo nella filiera alimentare carne di cavallo riciclata dall’ippica, ci avrebbe scaricato sul piatto dosi (non si sa bene quanto generose) di farmaci alquanto indigesti.
Tutti dunque sorpresi. Ma è vera sorpresa oppure è la sorpresa di chi, come il bimbo pescato con le mani nella marmellata, fa finta che sia la marmellata ad essergli caduta addosso?
Perché, tanto per fare un esempio ed allargando, come è giusto che sia, il campo a tutta l’alimentazione, è caduta nel vuoto la denuncia, circostanziata, dei nostri panificatori che da mesi denunciano la provenienza del pane surgelato ma venduto bello caldo nei grandi supermercati, dalla Romania?
Eppure basterebbe una semplice etichetta, indicante provenienze e passaggi, per evitare che la passata di pomodoro, piuttosto che dalla rigogliosa pianura emiliana, arrivi dalle sponde del fiume Giallo.
E la carne? Quante volte abbiamo sottolineato l’importanza di un macellaio di fiducia, cioè di qualcuno che con la fettina sia in grado di metterci anche la faccia?
Adesso, denunciano le organizzazioni dell’agricoltura, è crollo per i piatti pronti confezionati, così come sono spariti dagli scaffali dell’Ikea polpette svedesi e torte al cioccolato.
D’altra parte, si chiedevano nei giorni scorsi Marco Presta e Antonello Dose, conduttori de “Il ruggito del coniglio” su Radiodue, “ci deve essere qualcosa di profondamente sbagliato se andiamo a comprare la carne in un mobilificio!”
L’imperativo, dunque, è quello, si potrebbe dire, di un ritorno alla normalità. Quella normalità che vede i panificatori fare il pane, i macellai tagliare la carne (di manzo, di maiale, di cavallo), i pescivendoli distribuire il prodotto ittico, i negozi di alimentari consigliare il prosciutto ed il gorgonzola, i fruttivendoli scegliere la frutta migliore, il pizzaiolo prepararci “a vista” la margherita con la mozzarella di vera bufala.
Si dirà: ma così facendo si spende una cifra! Falso. E’ vero che serve tempo, ma è anche vero che, in questo modo, si risparmia perché si compra ciò che serve e, di conseguenza, si riducono al minimo i rifiuti.
In ogni caso: etichetta d’origine e filiera tracciabile sono elementi sostanziali di una battaglia che, guarda caso, tocca ancora una volta al commercio “tradizionale” fare in favore della tutela dei consumatori, della loro salute e, perché no, anche del loro portafogli.
Fernando Zilio
Presidente Ascom Confcommercio di Padova
Padova, 13 marzo 2013