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CHIUDONO LE GRANDI STRUTTURE DI VENDITA

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LA CHIUSURA DEI “MERCATONE UNO”.
PASQUALETTI (ASCOM CONFCOMMERCIO PADOVA): “DISPIACE PER I LAVORATORI CHE PERDONO IL POSTO, MA “CHI DI LIBERALIZZAZIONI FERISCE DI LIBERALIZZAZIONI PERISCE” E NONOSTANTE QUESTO SI PRETENDE DI CONTINUARE AD EDIFICARE”
“Non fosse che ci sono lavoratori che rischiano il posto e al quale va tutta la nostra solidarietà, verrebbe quasi da parafrasare il vecchio adagio “chi di liberalizzazioni ferisce di liberalizzazioni perisce”.
Franco Pasqualetti, vicepresidente dell’Ascom Confcommercio di Padova, da anni impegnato a contrastare sul territorio l’apertura di nuovi centri commerciali, accoglie con preoccupazione la notizia che vuole Mercatone Uno in procinto di chiudere tre negozi in Veneto.
“La preoccupazione – continua il vicepresidente dell’Ascom padovana – ha diverse facce: ha quella immediata e drammatica della chiusura di altri esercizi, di perdita di posti di lavoro, di crisi che non ci dà tregua nonostante le liberalizzazioni fossero state salutate dalla grande distribuzione come la soluzione di tutti i mali. Ma ne ha anche una “di prospettiva”: a cosa verranno destinati quei capannoni dismessi? Con ogni probabilità non serviranno, almeno nel breve periodo a nulla e nel medio saranno preda del degrado e dell’attacco delle erbacce. Eppure, pur di fronte a questi come a tantissimi altri casi di capannoni dismessi c’è ancora qualcuno che pretenderebbe di edificare. Ma a che pro? Non siamo ancora stufi di distruggere territorio?”
Nota la posizione dell’Ascom Confcommercio di Padova: non solo un secco “no” a nuove grandi strutture di vendita destinate a distruggere il tessuto di piccoli negozi presenti soprattutto nei centri grandi e piccoli del Veneto, ma anche un altrettanto secco “no” alla costruzione di nuovi capannoni.
“Fermo restando – conclude il vicepresidente dell’Ascom – che la nuova legge regionale attribuisce la priorità per nuovi insediamenti commerciali solo all’interno dei centri abitati in modo così da garantirne la vivibilità (e dunque escludendo che tutti i capannoni abbandonati soprattutto dall’industria che ha delocalizzato, siano trasformati in punti vendita) non si comprende perché ci si ostini, ad esempio, a decantare le qualità di Veneto City quando è chiaro che si tratterebbe di milioni di metri cubi di cemento che nessun intervento “ambientale”, come amano definirlo i progettisti, potrà mai cambiare la sostanza delle cose, ovvero che si sottrarrà altro terreno ad una regione che di cemento ne ha ben più del sopportabile”.
E le recenti alluvioni sono lì a dimostrarlo.

 

PADOVA 11 LUGLIO 2013