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IL PROBLEMA DRAMMATICO DELLA BUROCRAZIA

PER UN RIMBORSO DELL’IVA IN ITALIA SERVONO DUE ANNI E MEZZO DI MEDIA. BERTIN: “MA DA NOI (MAGRA CONSOLAZIONE) SOLO SETTE O OTTO MESI”.

Investimenti esteri?
In questi giorni di dibattito sul Jobs Act, sembra che questa sia la causa principale della penuria di investimenti stranieri. Sicuramente è vero, ma altrettanto vero è che gli investitori stranieri si guardano bene dal venire in Italia perché la burocrazia è talmente assurda che qualsiasi sforzo di comprensione risulta vano.
Un esempio? Il rimborso dei crediti Iva. In Italia servono due anni e mezzo, in media, perché un'impresa ottenga il rimborso di denari che sono suoi. Va un po' meglio - un anno e mezzo - con la procedura semplificata, ma resta
un'eternità se si pensa che in Gran Bretagna basta aspettare tra i 7 e i 10 giorni e in Germania appena una decina. Qualche giorno in più, comunque entro i due mesi, per Irlanda, Austria e Olanda.

Ovviamente, come per quasi tutto, c’è Italia e Italia.
“Diciamo subito – commentano all’ufficio tributario dell’Ascom Confcommercio di Padova dove di pratiche di rimborso Iva ne trattano diverse per le proprie categorie associate, in particolare gli ottici – che per la nostra esperienza i due anni e mezzo, se si utilizzano le procedure corrette, si riducono anche a sette, otto mesi. Certo, se il credito richiesto riguarda un’azienda che ha chiuso, i tempi si allungano, ma per chi è in attività, se si rivolge ad una struttura come la nostra, in in grado di sfruttare al meglio le procedure telematiche, il rientro del credito matura in tempi che, alle nostre latitudini, va sotto la dicitura “accettabile”.

Chiaro che per un investitore straniero abituato a certi standard e, soprattutto, ad una burocrazia amica e non nemica, il nostro “accettabile” diventa subito “inaccettabile” con tutti gli annessi e connessi”. Il problema è che mentre in Paesi come la Gran Bretagna e la Germania il rapporto Stato-imprese si basa sulla fiducia (hanno un'attività istruttoria molto rapida e snella, quasi automatica, e prevedono controlli successivi) da noi il rapporto si basa sul sospetto e spesso per ottenere ciò che già è nostro servono le fidejussioni bancarie.
“L’impressione – commenta il presidente dell’Ascom, Patrizio Bertin – avallata da decine di adempimenti che ogni giorno gravano sulle spalle degli imprenditori, è che la burocrazia cerchi tutti i modi per autoalimentarsi in questo sostenuta da una politica che legifera senza rendersi ben conto che, nel nostro sistema malato, anche un tentativo di semplificazione comporta un’automatica complicazione”.

Dunque?

“Meglio che Governo e Parlamento – conclude Bertin – si astengano dal “semplificare”. Se proprio vogliono aiutare le imprese vedano di “cancellare”. Ogni altra azione, da ormai non so quanti anni a questa parte, si è sempre rivelata nefasta per chi fa impresa!”

 

Padova 24 settembre 2014