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MA QUALE DOVREBBE ESSERE L'EXPO PER RILANCIARE PADOVA?

padova ortob

di Patrizio Bertin*

Il Sole 24 Ore e Italia Oggi non si sono trovati d'accordo: per il primo è la seconda, per il secondo è la 49esima a dimostrazione che le classifiche prestano il fianco alla soggettività di chi la classifica la pensa e la stila.

Ma anche se il giudizio non è unanime non vi è dubbio che Milano, prepotentemente tornata alla ribalta della cronaca internazionale, debba molto all'Expo e a quei sei mesi vissuti sulla cresta dell'onda.
Un trasferimento di 230 chilometri e una domanda: cosa deve fare Padova per emergere dalle secche non di un anonimato (per tanti versi e talvolta anche nostro malgrado continuiamo a "fare notizia") ma di un orizzonte piatto e privo di slancio? In altre parole: quale dovrebbe essere il nostro Expo per diventare quella "capitale" che era nei progetti di Enrico Degli Scrovegni dall'azione del quale, purtroppo, sono passati sette secoli? Proviamo a ragionarci.
E' il connubio Università e Impresa a poterci offrire l'occasione? Sicuramente. L'Università è un patrimonio che, messo in relazione con l'economia e le istituzioni, può permetterci di giocare un ruolo di primo piano a livello planetario.
E a proposito di Università, va detto con chiarezza che una decisione per il nuovo ospedale va presa. Ogni giorno che passa è un giorno perso e un giorno perso è un giorno che offriamo alla concorrenza. Agguerrita fin che si vuole ma che non avrebbe chance se solo Padova, manzonianamente emula dei polli di Renzo, non vantasse (si fa per dire) protagonisti intenti a beccarsi l'un l'altro piuttosto che a guardare avanti.
C'è una smart city che aspetta di essere avviata nella convinzione che una città che vanta 60mila studenti universitari non può permettersi il lusso di guardare alle vestigia del passato senza pensare alle logiche del futuro.
C'è una zona industriale che non vuole diventare l'hub dell'illegalità a forte matrice cinese ma che deve trovare gli stimoli per un rilancio che passa, giocoforza, attraverso gli investimenti.
Il centro congressi, araba fenice del processo di modernizzazione della città, sembra la rappresentazione in salsa padovana del gioco del "ciapa no": tutto può servire purchè non si parta. E intanto le statistiche snocciolano indotti da paura per quelle città (Vienna in testa) che hanno fatto del congressuale il primo elemento di sviluppo turistico.

Turismo: ecco l'altra parola magica. C'è una dicotomia fortissima tra il ranking espresso da Padova tra le città d'arte (quarto, quinto posto in Italia) e le ricadute turistiche che questa posizione riesce a garantirle: ventesimo posto, se tutto va bene.
Abbiamo un'economia forte, qualche brand "nostrano" è conosciuto in tutto il mondo, le nostre imprese sono arrivate a Cuba prima di Obama e a Teheran prima degli ispettori dell'agenzia mondiale per il nucleare, il commercio è uno dei più fiorenti, vantiamo eccellenze nel mondo dell'agricoltura e dell'agroindustria che fanno invidia a molti.
Persino lo sport vede Padova sugli scudi e la non citazione del Santo è voluta per non cadere nel luogo comune della città dei "tre senza".
Però è questa la realtà: siamo "senza" una strategia, siamo senza quell'Expo padovano, quell'investimento importante che faccia sì che Padova non possa essere "evitata" dagli italiani e da chi, per qualsiasi motivo, arriva in Italia.
Dobbiamo però scegliere. Perché è dimostrato che pur dove girano tanti soldi ma non ci sono progetti, l'economia langue. "O Franza o Spagna, basta che se magna" era ciò che sosteneva il popolo fiaccato dalle guerre franco-ispaniche nel medioevo. Per Padova non è questo il punto. Il punto è che dobbiamo smetterla con le contrapposizioni sterili e dobbiamo puntare su un progetto forte, visibile, decisivo. E su quello costruire la nostra scalata alle classifiche. Sia a quella del Sole 24 Ore (dove siamo 51esimi), sia a quella di Italia Oggi (dove siamo 25esimi).

* Presidente Ascom Confcommercio Padova


3 gennaio 2016