
IL PRESIDENTE DI CONFCOMMERCIO VENETO E DI ASCOM PADOVA, PATRIZIO BERTIN, CHIEDE DI POTER FAR RIPARTIRE LE ATTIVITA'.
"CHI CI GOVERNA DEVE TROVARE IL MODO PER CONSENTIRCI DI RIMETTERCI IN MOVIMENTO. SE NON SARA' COSI' IO NON VOGLIO ESSERE COMPLICE DI QUESTO STATO DI COSE"
"Di una cosa sono certo: non sarò io il complice di questo stato di cose".
Si smarca il presidente di Confcommercio Veneto e Ascom Confcommercio di Padova, Patrizio Bertin, dal coro di chi predica la "massima cautela" per il ritorno alla normalità.
"Qui - attacca - rischiamo di sconfiggere il Covid-19 per poi trovarci sopraffatti dall'economia ridotta a zero. Già si intravvedono i segnali di una preoccupazione crescente che rischia di trasformarsi in aperta ribellione se non proprio in guerra civile".
Vuole mantenere la calma, Bertin, ma il suo cellulare è diventato una sorta di osservatorio che dice altre cose rispetto a chi predica "senso di responsabilità dall'alto del suo essere categoria protetta che verifica puntualmente l'accredito dello stipendio in banca il 27 del mese".
In affetti a lui si rivolgono tutti quelli che lo stipendio "blindato" non ce l'hanno e che guardano con sospetto alle mille ricette per una ripresa "in sicurezza".
"Adesso che la Protezione Civile ha deciso di rarefare la conferenza stampa delle 18 - continua - non sarebbe male se venisse sostituita dalla conta delle imprese che stanno chiudendo. Ci accorgeremmo che anche quello è un numero spaventoso e che dietro ogni singolo caso ci sono intere famiglie che, se va avanti così, dovranno sperare solo nella "spesa sospesa" regalata da chi, garantito, può permettersi anche il lusso di essere generoso".
Cerca di analizzare la situazione il presidente.
"Credo che errori ne siano stati fatti un po' da tutti e dunque non è il caso di intentare processi. Però è fuori di dubbio che in Italia ci si sia mossi più emotivamente che non in altri Paesi. Noi abbiamo chiuso tutto mentre, ad esempio, in Germania si è continuato a lavorare nelle fabbriche. Adesso la data del 4 maggio sembra non essere ancora il traguardo agognato mentre è chiaro che ogni giorno che passa rischia di essere l'ultimo per migliaia di imprese. Ovviamente tornare al pre-coronavirus non è possibile, però da quel 21 febbraio credo che qualcosa sia cambiato a cominciare dal nostro sistema sanitario ora più preparato, con maggiori posti letto e, soprattutto, con maggiori successi per ciò che riguarda le guarigioni".
Non vuole disconoscere i pericoli di una ripresa dell'epidemia Bertin, però mette in guardia dal "rischio economico che potrebbe avere effetti devastanti nella socialità del Paese".
"Ci sono attività - dichiara - che non avranno difficoltà a far rispettare le distanze, a contingentare gli ingressi, a sanificare tutto ogni due ore. Ma ci sono attività come i bar e i ristoranti, le palestre, le sale da ballo e tante altre che anche se avranno il via libera non potranno riaprire. Basta fare un giro per Padova per rendersi conto di quanto pochi siano quelli che potranno sopravvivere al ritmo di un cliente alla volta e di un tavolino occupato ogni due metri. Queste attività sono state pensate per avere un gran numero di clienti che servivano a far fronte a spese cospicue. Ma se i clienti diventeranno un decimo, le spese rimarranno le stesse ed è facile capire quale sarà la fine di queste attività".
Ma esistono alternative a questo stato di cose? "Nei giorni scorsi - riflette - abbiamo accolto con entusiasmo le notizie che arrivavano dal VIMM circa un farmaco in grado di rappresentare una forma di contrasto al Covid-19. Da altre parti si segnalano risposte positive dall'utilizzo di altri farmaci. Le terapie intensive non sono più al collasso e, soprattutto, vengono avanti le app per il tracciamento del coronavirus ed è ormai un dato assodato che anche in fabbrica si entra dopo aver fatto la verifica della temperatura corporea. Quello che voglio dire è che non siamo più a gennaio quando chi proponeva di controllare chi rientrava dalla Cina era considerato un deprecabile razzista. Oggi (e cito testualmente il prof. Crisanti che mi sembra quello che, a cominciare da Vo', sia quello che ha sbagliato di meno) "potranno comparire nuovi focolai, ma noi abbiamo già la ricetta: circoscrivere l'area, fare il tampone a tutti, isolare i positivi e dopo 7-8 giorni fare la stessa cosa per riprendere i casi sfuggiti". Ecco: io credo che se l'Italia non vuole suicidarsi, chi ci governa non può aspettare il vaccino ma deve trovare il modo per consentirci di rimetterci in movimento. Con cautela, ma anche con tanto realismo. Pensare che tutti si possa vivere coi 600 euro del governo (che poi a tutti non arrivano) è come decidere la morte economica e culturale di questo Paese. Forse a qualcuno e da qualche parte potrà anche andare bene, ma non certo qui in Veneto dove lavorare significa anche avere una dignità. Per questo io non posso essere complice di questa deriva che dopo le rapide ci porterà dritti verso la cascata. O cominciamo a remare per raggiungere la riva o sarà la fine!"
Padova, 20 aprile 2020
