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19/10/2015 - Legge di Stabilità 2016: approvato dal Consiglio dei Ministri il D.d.L.

Legge di Stabilità 2016: approvato dal Consiglio dei Ministri il D.d.L.

In data 15 ottobre 2015 il Consiglio dei Ministri ha approvato il Disegno di Legge recante disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016).

In particolare, tra le novità fiscali contenute nel Disegno di Legge si segnalano le seguenti:

  • disattivazione, per il 2016, delle clausole di salvaguardia previste dalle precedenti disposizioni normative. Pertanto, non vi sarà alcun aumento dell'IVA e delle accise;
  • abolizione dell'IMU/TASI sulla prima casa per tutti e della TASI anche per l'inquilino che detiene un immobile adibito ad abitazione principale;
  • modifiche alle regole di accesso al regime forfettario di vantaggio:
    • la soglia dei ricavi viene aumentata di 15.000 euro per i professionisti e di 10.000 euro per gli altri soggetti;
    • viene data la possibilità di accedere a tale regime anche a dipendenti e pensionati a condizione che il reddito di detti soggetti non superi i 30.000 euro.
    Inoltre, per le nuove start-up si prevede che l'aliquota venga abbassata dal 10% al 5% per cinque anni (anziché per tre anni, come attualmente previsto);
  • diminuzione del canone RAI da euro 113,50 ad euro 100,00 e relativo pagamento in bolletta elettricità;
  • proroga della detrazione del 50% sulle spese di ristrutturazione edilizia e conferma del relativo bonus mobili. Inoltre, anche l'agevolazione del 65% sui lavori di risparmio energetico viene confermata;
  • maxi-ammortamento (il costo deducibile sarà pari al 140%) per beni strumentali nuovi acquistati dal 15 ottobre 2015 al 31 dicembre 2016.

 

Le dichiarazioni del contribuente nel PVC costituiscono confessione stragiudiziale: Cassazione

Con Sentenza 16 ottobre 2015, n. 20979, la Corte di Cassazione ha chiarito che in fase di verifiche fiscali l'accettazione da parte del contribuente, risultante dal PVC sottoscritto, di una data percentuale di ricarico costituisce una confessione stragiudiziale, tale da legittimare l'accertamento dell'Ufficio.

Ogni dichiarazione del legale rappresentante, inoltre, può costituire prova non indiziaria, ma diretta, del maggior imponibile, non bisognevole di ulteriori riscontri.

 

Responsabilità del datore per la mancata codificazione delle norme antinfortunistiche

In tema di infortuni sul lavoro, la Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità penale del datore per lesioni colpose aggravate nei confronti del dipendente, cui è occorso un incidente nello svolgimento delle proprie mansioni, dal momento che risultano violate le leggi antinfortunistiche.

In particolare la Suprema Corte, con la Sentenza n. 41486 del 15 ottobre 2015, ha chiarito che la condanna è giustificata, vista la mancata codificazione da parte del datore delle norme antinfortunistiche finalizzate a ridurre al minimo il rischio di incidenti sul lavoro, a nulla rilevando l'esistenza della semplice prassi aziendale e l'aver fornito al lavoratore istruzioni verbali.

 

Cassazione: no alla mobilità per i lavoratori il cui reparto è soppresso se idonei ad occupare posizioni di altri reparti

Con la Sentenza n. 21015 del 16 ottobre 2015 la Cassazione interviene in merito alla procedura di licenziamento collettivo, ed in particolare nel merito dei criteri di scelta affermando che "il datore non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti addetti al reparto o settore ove sono ravvisati esuberi, se essi siano idonei, per il pregresso svolgimento della propria attività in altri reparti dell'azienda, ad occupare le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzate."

In sostanza, la Suprema Corte afferma che non possono essere messi in mobilità lavoratori addetti al reparto dove sono stati ravvisati esuberi, se risultano idonei ad occupare posizioni in altri reparti.

Niente licenziamento per le frasi discriminatorie rivolte al collega

In materia di licenziamento per giusta causa, la Corte di Cassazione ha statuito l'illegittimità del provvedimento espulsivo nei confronti del dipendente, che ha utilizzato termini offensivi e ingiurie discriminatorie nei confronti del collega, che ne ha provocato la reazione mettendolo ingiustamente in cattiva luce agli occhi del superiore.

Nello specifico la Suprema Corte, con la Sentenza n. 21017 del 16 ottobre 2015, ha sottolineato che il diverbio non è stato originato da futili motivi e che la sanzione espulsiva è da ritenersi esagerata, in quanto il rapporto fiduciario tra datore e lavoratore, ingiustamente incolpato, non risulta irrimediabilmente compromesso.