L'Angolo della Sociologia
È opinione comune che fare il genitore sia uno dei mestieri più difficili al mondo; figurarsi se si può avere la presunzione di insegnarlo. Tuttavia esistono delle buone prassi che possono fornire un qualche aiuto.
Iconicamente, sui social ci viene proposta una famiglia dove tutto è armonia e fiducia nel futuro, ma tale tipo di rappresentazione è raramente rinvenibile; i genitori, ammesso che siano entrambi presenti, sono spesso impegnati nel lavoro e, se fortunati, possono affidare i figli ai nonni, altrimenti devono avvalersi di terzi. Ciò rappresenta una forzata abdicazione alla funzione genitoriale e genera una sorta di distorsione nell’autopercezione della propria immagine, con conseguente alterata interpretazione degli eventi che riguardano i figli. Esiste anche il caso estremo: per un eccesso di narcisismo e di autoreferenzialità, alcuni genitori non si interessano della formazione della prole, salvo poi trovarsi improvvisamente catapultati in situazioni problematiche che mai avrebbero immaginato.
Qualsiasi sia la situazione genitoriale, vi è tuttavia un assunto fondamentale: ciò che conta non è la quantità ma la qualità del tempo che passiamo con i nostri figli.
Una deriva patologica nel processo di crescita dei nostri figli è data dal cosiddetto bullismo, sulla cui origine si discute tuttora. Diverse, ma non risolutive, le ipotesi sull’origine del fenomeno, osservato sia sotto il profilo attivo (agire) che quello passivo (subire), includendo anche uno sguardo sul destino futuro di bulli e vittime. E’ interessante osservare che la quasi totalità di essi/esse crescono all’interno di famiglie che nella società attuale sono da considerarsi assolutamente normali, e non è dimostrato che i giovani bulli siano destinati ad essere dei violenti nella vita e le vittime siano destinate ad una esistenza basata sulla sottomissione e il fallimento.
In realtà, se da una parte vi è un aumento della precocità dei giovani nel confrontarsi con il fenomeno del bullismo, nella maggioranza dei casi le manifestazioni evidenti diminuiscono a partire dai primi anni delle scuole superiori fino a cessare via via che ci si avvicina alla maggiore età. Purtroppo tuttavia i danni che nel frattempo intervengono a sfavore di chi ne viene coinvolto, sia esso autore, vittima o spettatore, lasciano una traccia che può condizionare significativamente tutta la vita a venire.
Quali possono essere i comportamenti genitoriali utili a prevenire il fenomeno?
La UTILE PRESENZA. Educare significa integrare un tempo fisico di presenza proficua e attenta, che confluisca in una relazione nel rispetto dei ruoli, in cui il genitore non svolge la funzione di amico, avvocato difensore o bancomat, ma di educatore che si informa, condivide e indirizza i figli nelle scelte, osservando attentamente e cogliendo gli stati d’animo che giornalmente questi manifestano, indagando con discrezione su tutti quegli atteggiamenti che paiono mutati, sondandone i motivi senza invadere prepotentemente lo spazio sociale ed emotivo del giovane, valutando sia le amicizie “fisiche” che quelle “immateriali”; anche eventualmente utilizzando le tecnologie disponibili (ed ovviamente cercando di essere aggiornati sul loro utilizzo).
La VIGILANZA. Vigilare non significa spiare ma osservare in modo critico. E’ bene cogliere quanto prima eventuali segnali che possono trasparire dai comportamenti socio-relazionali quali, ad esempio: nervosismo, ansia, sonno, cambi improvvisi di umore, chiusura in sé stessi, scarsa autostima, insicurezza, malessere generale, calo improvviso del rendimento scolastico, rifiuto della socialità; presenza di escoriazioni o lividi; danni all’abbigliamento; richiesta immotivata di denaro; episodi di autolesionismo. La presenza di uno o più di questi segnali va attentamente valutata, anche nell’ottica del ricorso alla consulenza di un esperto.
Il DIALOGO. Tra tutti gli strumenti disponibili, il dialogo è certamente il più importante in termini di efficacia. Non deve essere strutturato in monologo o in sequenza di domande/risposte, ma fondarsi principalmente sull’ascolto, tenendo sempre presente che molti “pilastri” sociali (paradigmi consolidati) stanno mutando velocemente senza che siano proposte alternative altrettanto affidabili, e ciò crea disorientamento soprattutto nei giovani. Tra i “pilastri” che mutano, emerge lo stile di vita: ora verte verso un processo di individualizzazione del singolo, che porta alla necessità di soddisfare subito e per primi i propri bisogni per lenire la frustrazione che deriva dalla “incertezza dell’essere”. A ciò si accompagnano il senso di solitudine e la compulsività dei consumi, con i minori maggiormente esposti a questi rischi.
In che ambito regolare lo spazio di dialogo tra genitori e figli? Certamente ovunque si colga una necessità, quindi ad esempio sessualità, emozioni, relazioni, adempimento dei doveri, comportamento generale; si ricordi comunque che lo scopo è comprendere il disagio dei figli – ancorchè non di tipo patologico – prima che questo malessere incida sulla loro personalità in formazione, esponendoli ad essere attori o vittime di bullismo.
Il dialogo che ne consegue sarà attento, rispettoso, riservato, alieno dal pietismo, mai aggressivo ed attuato in un ambiente “protetto” e confortevole. Verranno messe in luce le responsabilità e le conseguenze di un agire prepotente o, di converso, le possibilità di uscire da una situazione di vittimizzazione senza (eccessivi) danni personali e recuperando ottimismo e fiducia.
La GUIDA. Consiste nell’insegnamento del rispetto delle regole e degli altrui diritti e deve necessariamente passare attraverso l’esempio. La coerenza tra quanto viene detto e il comportamento di chi lo sostiene è fondamentale. Se si predica il rispetto e poi allo stadio, sui social o in auto - in ordine - si insultano giocatori e arbitro, si postano foto (anche legittime) con minori svestiti o si litiga o si insulta per un sorpasso, difficilmente il genitore o chi per lui fornisce un modello essenziale per una crescita equilibrata. Quindi le regole non saranno imposte ma prima di tutto condivise.
Infine, un’ultima osservazione: nessuno è perfetto, quindi anche il bullismo, per quanto pericoloso e socialmente deleterio, va accostato con pacatezza, lucidità e retta coscienza, evitando approcci estremizzanti che finirebbero per far incancrenire il fenomeno anziché dissolverlo. Una sincera, lucida, pacata e ben determinata volontà di chiarire le cause caso per caso è certamente un buon setting per sperare in un risultato positivo.
Dott. Tullio Segato, sociologo e criminologo